Il Buon Samaritano sta affilando la sua pietà, se ne andrà al Carnevale stasera, in via della Povertà.
Busto Arsizio. O meglio dire Borsano, una delle frazioni più popolose della città coi suoi seimila e rotti abitanti, anni fa comune autonomo, ora terra verde ma allo stesso tempo culla di un termovalorizzatore capace di creare paura e proteste, perché è davvero difficile capire cosa si respiri da queste parti, anche durante una lunga passeggiata nel Parco Alto Milanese.
La Borsano della pedonalizzata Piazza Toselli, neanche fossimo in un centro così affollato, del quartiere “Giuliani e Dalmati” armato di palazzoni anti estetici che ospitano centinaia di famiglie, la Borsano agricola che ora si può solo intravedere se passi per Cascina Burattana, ma anche troppo affollata, col Viale Boccaccio che la mattina presto è più ingolfato di una tangenziale.
In questo piccolo paese pieno di contraddizioni, si respira già da qualche anno la povertà allo stato brado. Le case popolari dai muri scrostati e i prati, stancamente tagliati dal pensionato di turno, sono il contorno di famiglie ormai ridotte alla fame, che tengono tra le mani non un tagliando vincente della lotteria, bensì un’ingiunzione di sfratto.
Un biglietto di sola andata per la disperazione.
Ofelia è dietro la finestra, mai nessuno le ha detto che è bella, a soli ventidue anni, è già una vecchia zitella.
Rosa va per i quaranta, ne dimostra una decina in più per colpa delle preoccupazioni e delle botte prese dell’ex marito. Ora lui è in carcere e lei non paga l’affitto da svariati mesi, di lavoro vero non c’è traccia e mantenere due figlie adolescenti è quasi utopia, per fortuna ci sono i servizi sociali, ma proprio ieri le hanno fatto gentilmente capire che gli aiuti non sono eterni.
Legalmente è già sfrattata, per ora resiste e mette il naso in giro solo per lavoretti saltuari, se la sbatteranno fuori di casa andrà a vivere da amici, fino a quando ci sarà possibilità.
E poi? Chi lo sa.
Antonio è un ex muratore, l’edilizia è in crisi e non lo chiamano più, mettici poi dei problemi di salute al fegato e il gioco è fatto. Ha tre figli, il più piccolo gli somiglia molto e si capisce che in breve tempo prenderà la sua stazza, sua moglie si sbatte come lui per trovare qualcosa, ma in giro non c’è nulla, se Borsano è povera, Busto non è poi così diversa, l’affitto non si paga da una vita e la famosa raccomandata con ricevuta di ritorno è in arrivo.
Nelle strade c’è silenzio a ora di pranzo, non si capisce se è perché son tutti davanti alla televisione, o se per una muta tristezza che nessuno riesce più a scacciare.
Un po’ come Livio, ottant’anni suonati e le giornate passate davanti a uno schermo che rifila sempre le stesse immagini, mano destra sul bastone, l’indice e il medio della sinistra stringono la solita MS rossa consumata fino al filtro.
La moglie è morta e lui fa il funambolo con la sua pensione da seicento euro al mese, mentre sotto i suoi piedi le fauci dell’indigenza non vedono l’ora di ingoiarlo.
Questa gente di cui mi vai parlando, è gente come tutti noi, non mi sembra che siano mostri, non mi sembra che siano eroi e non mandarmi ancora tue notizie nessuno ti risponderà, se insisti a spedirmi le tue lettere da via della Povertà.
Le elezioni sono appena finite, c’è chi ha stravinto, chi non ammette di perdere e chi è scomparso dalla scena, mentre si sprecano quei refrain che hanno annebbiato il nostro cervello.
Peggio di una ballata triste che qui a Borsano tutti si sono stancati di sentire.
Perché domani è un altro giorno.
In attesa dello sfratto.
Carlo Albè.