Una sala d’aspetto silenziosa e quasi asettica, quattro poltroncine che circondano un tavolino invaso da riviste che nessuna ha voglia di leggere, quadri in bianco e nero appesi alle pareti, dalle finestre appena lucidate si intravede un cielo che non promette nulla di buono, sta per piovere e come sempre Varese affogherà in un mare di buche e file ai semafori, sempre troppo rossi per chi è nato con la fretta dentro il corpo.
Me ne sto seduto, la mia mente cerca di farfugliare qualcosa quando la segretaria, una donna sulla quarantina piccola e minuta, interrompe i miei pensieri.
“Il Dottor Mariani può riceverla, prego” e detto questo mi apre la porta, la solita barriera in noce che mi divide da uno studio che ormai conosco meglio delle mie tasche.
La luce del cielo filtra appena dal tendaggio arancione scuro, il pavimento è coperto da lunghi e morbidi tappeti persiani sul quale ho sempre desiderato camminare a piedi nudi, davanti a me una scrivania in ebano intarsiato e al posto di comando ecco come sempre lui, la mia coscienza, l’unico che ha ancora voglia di ascoltare le farneticazioni di un giovane invecchiato precocemente.
“Accomodati Luca, preferisci il lettino o la poltrona?”
“Meglio il lettino…”
“Strano, di solito ti siedi sempre di fronte e me. C’è qualcosa che non va?”
“Sono solo stanco, sfinito direi…” e nel frattempo mi sdraio, sentendo le ossa scricchiolare.
“E’ accaduto qualcosa di particolare?” mi chiede lui, mentre afferra il solito taccuino.
“Ho dormito poco e male…”
“Indigestione?”
“Che battuta! Ne avesse azzeccata una da quando vengo qui!”
“Noto del risentimento nei miei confronti…vada avanti, ci potrebbero essere spunti interessanti. Alla fine sono solo due anni che lei è mio paziente, non può certo aver risolto tutti i problemi che ha portato in dote la prima volta che si è presentato da me.”
“Ma non è risentimento!” sbotto io. ”E’ solo che sono stanco, stanco di tutto!”.
“Non è l’unico…
Ecco, ora mi arrabbio per davvero.
“Mi scusi, ma cosa la pago a fare? Per sfogarmi oppure per farmi dire quello che è giusto o sbagliato?” urlo quasi, mentre il mio corpo sobbalza dal lettino.
“Che è accaduto stanotte?” mi chiede lui, ben capendo di avere colpito nel segno.
“Ho fatto un incubo incredibile dal quale non mi sono ancora ripreso!”.
“Mi racconti…”
“Ho sognato che il governo cadeva per l’ennesima volta, che tutto era ancora da rifare.
Renzi prendeva il comando della situazione con un colpo di mano degno di un gran pokerista e si insediava a Montecitorio, tutti erano esterrefatti ma nessuno ha fatto nulla per contrastarlo. Io ero lì mentre si formava il nuovo governo e le giuro dottore, ho provato a urlare, a dire che non era possibile cascare dentro quella palude ma nessuno mi ha ascoltato. Ho visto ministri giovani, raccomandati e senza esperienza essere eletti in un battito di ciglia, ho visto altri, bravi a delocalizzare il lavoro in Europa dell’est essere incaricati dello sviluppo economico del nostro paese, e ancora un uomo magro e con la barba che ha sempre contestato il suo nuovo capo essere posto al comando della cultura, senza dimenticare quel siciliano giovane e calvo che fino a pochi mesi prima giocava con la squadra avversaria. Nel frattempo John Elkann insultava tutti i suoi coetanei, dando loro dei lazzaroni, e anche in quel caso nessuno si è alzato dalla sedia per afferrare il bavero di quel giovane viziato e portarlo a lavorare in fabbrica, in mezzo alla gente che ogni mese suda e spera. Le giuro dottore, è stato l’incubo più brutto di tutta la mia vita e lei sa bene che della politica me n’è sempre importato poco.”
Lo psicologo mi guarda con occhi sbarrati, per poi dirmi.
“La prego, si alzi dal lettino, forse è meglio che sia io a sdraiarmi…”
Carlo Albè