Il dopolavoro

C’è tutto il tempo per riposare

La Punto ci impiega sempre un po’ ad accendersi, saranno i primi freddi? Che mal di schiena, ore e ore sull’impalcatura a prendere le spinte del vento che sembra faccia di tutto per farti cadere, dieci ore e in mezzo una pausa dove ci si abbuffa di pasta cucinata dalla moglie, che poi senti al telefono per sapere se Mattia ha passato indenne l’interrogazione di latino.

E mi son pure sporcato la tuta, chissà come me la son procurata questa chiazza di vernice rossa!

Domani è sabato e si va al supermercato con l’ansia di riempire il frigo senza svuotare il conto corrente, la sera una pizza d’asporto e la domenica una cioccolata calda per il centro con mia moglie Elena.

Nessun weekend ad alta tensione, ci pensa già la settimana a mettertene addosso e l’unica cosa che ti viene di fare, tolto il caschetto protettivo, è quella di rilassarsi, bersi una birra rossa, passarsela nella bocca come fosse vino pregiato, e farla scendere a cascate nella gola.

Sono questi i veri piaceri di un uomo!

C’è poco traffico, una leggera nebbia si sta posando sulla strada, tutto è silenzioso e pure la solita Statale Varesina è diversa, l’erba dei campi è quasi bianca, il cielo è di un azzurro intenso, pieno di uccelli.

Ma quel locale a sinistra ha riaperto? È possibile che non mi sia accorto di nulla in questi mesi?

La novità casca a puntino, mi fermo qui per una bevuta! Sull’insegna c’è scritto “Dopolavoro del tempo interrotto”, che razza di nome! Do una spinta alla porta ed eccomi immerso in una sala con due biliardi dove la gente gioca in silenzio, sui muri stanno attaccate foto di operai al lavoro, mentre al bancone un uomo sulla cinquantina con camicia bianca e sorriso radioso mi dice “Tu hai la faccia da birra rossa, vero?”

“Giusto!” rispondo io afferrando il boccale appena spillato, cercando poi degli spiccioli nella tuta.

“No, qui offriamo noi!”

“Eh? Beh, grazie!”

Saluto confuso il barista e mi avvicino a un tavolino dove quattro tipi stanno giocando a scopa, attorno a loro una nuvola di fumo come accade nelle partite più tirate.

“Oh, ma ve la ricordate ancora l’ultima assemblea sindacale?” chiede quello coi baffi.

“Oh signur!” risponde il suo dirimpettaio, che nel frattempo si è fregato il settebello.

“Ore e ore di picchetto per un piccolo aumento, che rabbia!” mugugna quello che fa il mazzo.

“Ma ne valeva sempre la pena quando c’era da combattere contro i capi” urla quello che mi sta più lontano che dopo mi chiede “Sei un nuovo arrivo?”

“Eh…si”

“Vuoi giocare?” domanda quello coi baffi.

“No, poi preferisco ascoltare i vostri racconti, dove lavoro io si sta sempre con la testa china!”

“Eh, noi no, ci mettevamo sempre di mezzo, eravamo dei…”

“Ma siete tutti pensionati, così giovani?”

Nella sala è calato un silenzio glaciale, ogni avventore mi rivolge lo sguardo.

“Noi non lavoriamo più, Christian” mi dice il barista planato alle mie spalle.

“E tu come fai a sapere il mio nome?”

“Fosse solo quello. So anche che ieri sei cascato da un’impalcatura e che sei morto sul colpo, non la vedi quella macchia rossa sulla tuta? Non è vernice. Hai capito dove ti trovi?”

“No…”

“Questo è il dopolavoro dove nessuno vorrebbe stare”

“Ma che state dicendo, non è vero, ho fuori la macchina, oggi ho lavorato, stasera vedo mia moglie, mio figlio, domani vado a fare la spesa…” urlo col groppo in gola e sento che mi viene da piangere, perchè nella mia mente sta passando come un film l’ultima scena della mia vita.

Io che scherzo col mio collega, io che mi piego a prendere un attrezzo, io che metto un piede in fallo, io uomo da 1100 euro al mese esanime al suolo per un’imbragatura marcia. E tanti saluti.

Il barista mi mette una mano sulla spalla e dice candido “Siedi e bevi un’altra birra, prendi una sigaretta, ora c’è tutto il tempo che vuoi per riposare…“

Carlo Albè