Quando il freddo ti gela l’anima
Ho scritto una poesia su un vecchio muro, “Vivi cercando il fondo e ringrazia chi ti ha preso il futuro”
Un ambulante vende sogni mezzi rotti ai bordi della via, ne ho comprati un paio ma senza garanzia!”
Il mio nome è Vittorio e la mia casa si chiama strada. Giro per Varese lentamente, non ho bisogno di stare al passo con quelli che tutti i giorni si dannano l’anima, anche perché nessuno mi aspetta.
Sono rimasto solo al mondo, due cose mi fanno compagnia, questa chitarra sgangherata e una sacca dove puoi trovare dentro mille chincaglierie. Si, mi chiamo Vittorio e una volta volevo essere come le persone che vedevo vivermi accanto, avevo dei sogni da inseguire, e quando mi sono accorto che sarebbe stato impossibile afferrarli ho mollato tutto per cadere nell’alcool. E mentre bevevo, riflesse nel vetro della bottiglia vedevo mia moglie e mia figlia che si allontanavano senza voltarsi, perché oramai mi avevano dimenticato. Il cielo di Varese oggi è nero, vedo un aereo che vola basso, mi chiedo se i passeggeri a bordo siano felici, li ho immaginati ognuno con la propria storia e il proprio destino, mi emoziono sempre quando vedo un aereo, forse perchè in cuor mio vorrei partire, lasciare questa città e non tornarci più, stare nella terra di nessuno solo con le mie corde e le mie canzoni.
Tutto è maledettamente breve, come le lacrime frustrate che ti scappano dalle ciglia e sbattono sulle gote dove la pelle si è seccata dal freddo, come quei sorrisi dei quali non ho più memoria. Stanotte sul solito materasso di carta amara ho chiuso gli occhi, una luce mi ha preso e portato via ma non era il paradiso. Qualcuno mi stava aspettando, forse un demone travestito da donna o magari un angelo cicciottello e beato ma non ho ascoltato, ho voltato le spalle e detto addio anche a loro. Perché se mi volto vedo un sentiero pieno di giornate sempre uguali, sveglia presto, latte caldo bevuto insieme ad altri poveri diavoli e poi ancora per la strada, con le suole delle scarpe che fumano e che presto mi lasceranno, mentre i Normali nel frattempo vivono, producono, consumano e quando canti la tua canzone, ti lanciano un’occhiata che qualche anno prima ti avrebbe ferito, ma che ora scivola come acqua sul marmo.
“Questo sono io, un uomo stanco ma cantastorie
cosa c’è di speciale nel cercare le glorie?
ma se avete voglia di vedere
e se avete voglia di provare
una voce che non sa gridare, una chitarra da pizzicare
con una moneta in mano, venitemi a cercare…”
Ho sempre percorso lo stessa strada, era facile, ne conoscevo tutte le curve, le soste, le zone desolate e sapevo bene che la felicità a volte era un senso vietato, inaccessibile a chi come il sottoscritto non ha mai avuto la patente per guidare se stesso.
Ho quarantacinque anni e mi chiedo, in cosa mi sia trasformato.
“E per voi sarò buono ma anche cattivo, un muto che vuole fare il divo
sarò affamato ma anche sazio, sarò apoteosi piena di strazio
sarò vita morte e miracoli, sarò quello che cade sugli ostacoli…”
Varese oggi è ancora più fredda, questo inverno sembra non finire mai.
Nell’aria c’è profumo di caldarroste, le strade sono illuminate come sale giochi e la gente che le attraversa sembra un po’ triste e un po’ spensierata, è sorretta da buste della spesa che mese dopo mese sono sempre più vuote, perché ormai serve solo l’indispensabile, serve solo sopravvivere. Uomini, donne, vecchi e bambini, un esercito d’umanità con una divisa che mi è sempre stata stretta. Purtroppo.
Buona serata Varese, questo pezzo è per te…e per il gelo che mi si è attaccato all’anima.
“Signori e signore di che avete paura? Sta cadendo la neve, sentite com’è pura!
Chiudete gli occhi, pensate a sognare, il cantastorie tornerà se vi piace ascoltare…”
Carlo Albè